AUTORE: Redazione   –     DATA: 27 Settembre 2020

Scuola del futuro – La scuola è appena iniziata, neppure dappertutto a dire il vero, e siamo già impantanati nelle sabbie mobili indotte dal virus e dalla sua gestione. Chi si illudeva di un inizio tranquillo può già mettersi l’anima in pace: il panico regna tra alunni, insegnanti, operatori. Molte famiglie, nel dubbio, decidono di tenere a casa i propri figli preventivamente.

La conclusione? Scuola del futuro. Se non impariamo a convivere con il virus a scuola siamo fritti.

A peggiorare la situazione c’è la consapevolezza di essere già dentro la seconda ondata dell’epidemia. I segnali che arrivano dalla diffusione del virus negli altri paesi sono inequivocabili. Abbiamo poco tempo, ma possiamo sfruttarlo bene.

Scuola del futuro. Una buona notizia, per esempio, è che la scuola non è sola in questo mondo ibrido fatto di persone che per aumentare il distanziamento in parte si recano al lavoro negli uffici e in parte svolgono i loro compiti da casa: il famigerato smartworking ha anche lati positivi. E alcuni dei modi di lavoro scaturiti durante il lockdown possono essere riutilizzati anche a scuola, con i necessari adattamenti.

In giro per il mondo chi si occupa di lavoro ibrido sta scoprendo l’efficacia di un principio base che regola le interazioni sociali, un principio che è applicabile anche alla realtà delle classi dimezzate dal Covid. Una modalità inclusiva che può essere adottata ogni volta che c’è un assente in classe e partecipa da casa. Il principio alla base della scuola ibrida è molto semplice: 1 remote ALL remote.

Cosa significa Scuola del futuro ? Significa che quando anche un solo alunno è assente si adotta un approccio che gli permette di partecipare “come se” fosse in classe. Il paradigma tradizionale si inverte: il metodo dell’insegnamento deve partire da chi è a casa e includere poi tutti gli altri presenti in classe.

Considerare chi è assente come fosse presente in aula ci traghetta oltre la Dad dell’orrore che tutti noi abbiamo vissuto e, ahimè, praticato nei mesi del primo lockdown. Il viceversa, invece, include tutti e in modo partecipativo grazie alle tecnologie che oggi ci sono e funzionano.

Un esempio pratico: chi è connesso da casa non può assistere passivamente allo svolgimento della lezione come fosse davanti in pigiama davanti alla tv. Chi invece è a scuola seguirà la lezione con gli stessi strumenti, e gli stessi processi di chi è a casa, partecipando attivamente a quel che accade in classe (es. lavori di gruppo svolti su lavagne elettroniche condivise).

Ma non è una mera questione di strumenti: la tecnologia da sola non fa niente. È come la utilizziamo che fa la differenza. Un insegnante dovrà adottare una didattica che integra tre elementi e li posiziona in modo appropriato nel nuovo contesto ibrido:

  1. Gli strumenti
  2. Le competenze
  3. La forma mentis

Tutti e tre gli elementi devono essere reimpastati nel nuovo contesto proprio come si fa con la farina per preparare il pane e, per farlo, bisogna sporcarsi le mani. Un po’ alla volta si impara ed è emozionante scoprire che si può fare e che, anzi, è più motivante per gli alunni e meno faticoso per chi insegna.

Da dove cominciare? Dal punto più semplice: il primo passo, per le famiglie, è smettere di considerare la scuola come un servizio di baby sitting pagato dallo stato. Per molte famiglie – non tutte, ovvio – è cosi.

Il secondo passo è comprendere che si tratta di una sfida da affrontare insieme. Una scuola ibrida richiede una vera collaborazione fra tutti quanti. Non può essere responsabilità dei soli insegnanti. A casa i ragazzi devono essere concretamente appoggiati da chi è con loro: i genitori appunto.

La scuola è diventata il laboratorio sociale dove si gioca la partita decisiva per far uscire il nostro Paese dalle sabbie mobili che ci asfissiavano ben prima del Covid. Nessuno, però, può farcela singolarmente. Insieme traghettiamo sull’altra riva o da soli sprofondiamo.

Editoriale di Mauro Sandrini Esperto in formazione e neuroscienze.

Fonte: Fatto Quotidiano

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